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CHI E' LO SPIRITO SANTO

CHI E' LO SPIRITO SANTO
IL Grande Sconosciuto E’ difficile presentare lo Spirito Santo. Si legge negli Atti degli Apostoli che S. Paolo, mentre era di passaggio ad Efeso, chiese ad alcuni cristiani: “Avete ricevuto lo Spirito Santo, quando siete venuti alla fede?”. Gli risposero: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo!” (At 19,2). Evidentemente nessuno gliene aveva parlato. Oggi, molti cristiani potrebbero rispondere allo stesso modo a una simile domanda… e la colpa non è tutta loro! E’ penoso pensare che vi siano cristiani, che hanno ricevuto la cresima e non sappiano chi sia lo Spirito Santo e non si curino di saperlo! Di fronte a tanta indifferenza, si può pensare che per tutti la Terza Persona della SS. Trinità rimanga un Dio lontano, dimenticato, quasi sconosciuto e poco invocato.

lunedì 31 gennaio 2011

LA FEDE



Non si può definire la vita cristiana senza partire dalla fede. Il cristiano è colui che crede. La sua fede sarà più o meno convinta, più o meno personale, influirà più o meno sul suo modo di vivere, ma senza di essa non c’è vita cristiana.
Quando si comincia a discutere sulla fede, si resta impressionati dal gran numero di problemi che essa pone. Non è nostra intenzione entrare in questo intricato argomento. Vogliamo invece dirigere la nostra attenzione sul contenuto della fede e chiederci qual è il nucleo centrale, la sua caratteristica principale, la sua ossatura.
Possiamo distinguere vari aspetti.


1 - Credere è incontrarsi con qualcuno

Siamo troppo abituati a considerare la fede come l’accettazione di un certo numero di verità che riguardano la nostra vita presente e la nostra salvezza eterna. La fede è invece, innanzitutto, un incontro personale, l’accettare che un Altro invada la mia esistenza, il dipendere da lui, il fidarsi di lui, l’abbandonarsi a lui, il lasciare che egli prenda in mano la guida della mia vita.
Credere vuol dire rinunciare alle proprie sicurezze, accettare di essere messo in discussione, secondo la parola di Gesù: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà" (Lc 17,33).
"Ciò significa rinunciare a prendersi come fondamento della propria vita, rinunciare a spiegare la propria vita a partire da noi stessi. Perdersi vuol dire buttarsi via come metro di valutazione, accettare invece Dio come misura, come ragione" (E. Balducci).
Ciò spiega la difficoltà dell’atto di fede per l’orgoglio umano che cerca soprattutto l’autoaffermazione, l’indipendenza, l’autosufficienza.
Ma, cosa strana, è proprio nell’accettazione di Dio che io trovo me stesso, la mia personalità, la mia gioia più grande, la valorizzazione delle mie qualità. È invece nel rifiuto di Dio che io mi trovo isolato, povero, alienato.
Possiamo applicare alla fede le belle parole di s. Agostino: "Non so in quale modo inspiegabile, chiunque ami se stesso e non Dio, non si ama; e chiunque ami Dio e non se stesso, quegli si ama".
Tutti abbiamo incontrato persone che non hanno ancora trovato Dio o l’hanno rifiutato e, forse senza accorgersene, hanno una tale sicurezza di sé che li squalifica. Cercando se stessi, perdono se stessi. Non hanno ancora accettato un Altro a cui sottomettersi, e così essere salvati.


2 - Credere è accettare l’amore di Dio

Credere è incontrarsi con Dio, un Dio che mi ama da sempre. "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati... Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore" (1Gv 4,10.16).
Credere all’amore di Dio è dare un nuovo significato a tutta la vita, è introdurre in noi un principio di ottimismo, di gioia, di slancio, di rinnovamento. Significa vedere se stessi, tutto il creato, tutti gli avvenimenti come opera dell’amore. Significa partecipare allo sguardo positivo di Dio su tutta la creazione: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen 1,31).
Credere nell’amore di Dio significa credere che tutto ciò che mi circonda, in ultima analisi, è buono. Non significa certo chiudere gli occhi davanti alla realtà del peccato o del male, ma credere che, prima e dopo il peccato, c’è l’amore: l’ultima parola e l’ultima mossa ce l’ha l’amore.
Credere all’amore significa saper riconoscere in tutte le creature un segno dell’amore di Dio verso di me. Ma significa ancor di più riconoscere l’amore di Dio nella prova, mantenere la serenità e la gioia nella tentazione e nel dolore. Mentre quelli che non hanno la fede escono amareggiati o disperati dalle prove subite, chi crede ne esce più sereno, più buono, più vero, più genuino.
Dice l’apostolo Giacomo: "Considerate perfetta letizia, fratelli miei, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla... Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano" (Gc 1,2-12). Credere all’amore di Dio sempre e in tutte le circostanze: questa è la fede.


3 - Credere è accettare la salvezza di Gesù

Tutto quanto abbiamo detto fino ad ora è un presupposto per arrivare al punto centrale. Credere non è soltanto incontrarsi con Dio e credere all’amore di Dio. Credere è riconoscere che Dio "ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 4,10). In altre parole è ammettere che la salvezza ci viene dall’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù. È accettare il mistero pasquale come centro della storia e origine della nostra salvezza. Gesù è la persona in cui si incontrano Dio e l’uomo. In questo incontro abbiamo la pienezza della rivelazione e della salvezza. Cristo è la rivelazione stessa di Dio. In lui Dio si rende presente e visibile a noi (cfr. Gv 14,9). In lui si manifesta l’amore di Dio per noi: un amore capace di abbassarsi, di rendersi simile alla persona amata, di partecipare tutta la sua vita, le sue attività, le sue sofferenze; un amore che è stato capace di dare la vita per coloro che ama.
Se la fede è credere nell’amore di Dio, questa fede trova in Gesù una concretezza palpabile (cfr. 1Gv 1,1): l’amore di Dio ha trovato in Gesù la sua più piena manifestazione e realizzazione.
Ma in Gesù abbiamo anche la rivelazione dell’uomo a se stesso. Perché Gesù è veramente uomo e in lui noi vediamo ciò che siamo chiamati a diventare. "Nel Cristo l’uomo scopre ciò che può e deve diventare per essere uomo. Il mistero dell’uomo è la sua attitudine essenziale a divenire, per mezzo di Cristo, ciò che è Cristo" (F. Varillon).
In Gesù abbiamo dunque la rivelazione di Dio e dell’uomo. Di Dio, in quanto capacità di dare e di darsi; dell’uomo, in quanto capacità di ricevere e di essere elevato.
In Gesù non abbiamo soltanto la rivelazione, abbiamo anche la salvezza.
Questa è avvenuta in due modi distinti e complementari.
Anzitutto con l’incarnazione di Gesù; assumendo la natura umana egli ha elevato tutta l’umanità: "Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a dignità sublime. Con l’incarnazione, il figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" (Concilio Vaticano II, GS 22).
Ma la salvezza è stata pienamente realizzata mediante la morte e la risurrezione di Cristo.
Per troppo tempo si è insistito su un modo di spiegare la redenzione unicamente attraverso la morte di Cristo: Gesù, morendo, ha espiato le nostre colpe, ha pagato per i nostri peccati, e così ci ha dato la salvezza.
Questo modo di presentare la redenzione, un modo giuridico, non va rinnegato, ma completato da una presentazione più biblica. Il Figlio di Dio, incarnandosi, ha assunto la nostra carne di peccato (cfr. Rm 8,13; 1Tm 3,16) e così, pur senza aver commesso peccati, è diventato solidale con tutta l’umanità peccatrice. Con la sua morte in croce, liberamente accettata, egli ha distrutto questa carne di peccato (cfr. Rm 8,3; Ef 2,14-16; Col 1,22) e così ha meritato di risorgere a vita nuova, quella che gli compete come Figlio di Dio (cfr. Fil 2,9). Ma ha compiuto tutto questo non come singola persona, ma come capo della nuova umanità (cfr. Rm 5,15; 1Cor 15,20). In Cristo è tutta l’umanità che è morta al peccato ed è risorta a una vita nuova.
L’opera di redenzione dunque è stata compiuta in due tempi, che corrispondono ai due aspetti, negativo e positivo, della nostra salvezza: con la morte è stato distrutto il peccato, con la risurrezione è stata acquistata la grazia.
Comprendiamo così le parole di san Paolo: "Gesù Cristo nostro Signore è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25) e anche quanto afferma il prefazio di Pasqua: "È lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita".
Come vedremo meglio in seguito, la vita cristiana consiste nella partecipazione sempre rinnovata alla morte e alla risurrezione di Cristo. Il cristiano deve morire al suo peccato e risorgere alla vita della grazia che non è altro che la partecipazione alla vita gloriosa di Cristo risorto.
Cominciamo a capire meglio la natura della fede: non è soltanto accettazione passiva di alcune verità che Dio mi comunica, ma è partecipazione attiva di tutto me stesso al contenuto di queste verità; non è solo adesione dell’intelligenza, ma trasformazione di tutta la mia vita.


4 - Fede e obbedienza

La fede è un atto di obbedienza per Abramo, nostro padre nella fede: "Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli" (Rm 4,18); "Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava" (Eb 11,8).
La fede è stata un atto di obbedienza per Maria "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38); "Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).
Di Gesù non è esatto dire che ha esercitato la fede. Ma tutta la sua vita è stata un atto di sottomissione al Padre "facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce" (Fil 2,8).
"Tale deve essere la vita del cristiano: egli deve riprodurre in sé la sottomissione totale di Cristo. Cristiano è l’uomo che "vive di fede" (Rm 1,17), che cioè ha regolato tutta la sua esistenza sull’unica possibilità aperta da Gesù Cristo, il Figlio di Dio, obbediente per noi fino alla morte di croce: quella di partecipare al sì obbediente, che redime il mondo, detto da Dio" (H. Urs Von Balthasar).
La vita del cristiano deve dunque essere un’accettazione e una sottomissione alla volontà di Dio senza limiti e senza riserve. Non si insisterà mai abbastanza su questo aspetto della fede, come rinuncia a se stessi e apertura alla volontà di Dio.
Il cristiano si perde per ritrovarsi: si perde a se stesso, al suo piccolo io personale, ai suoi interessi meschini, per ritrovarsi su un piano universale, quello di Cristo, che include tutti gli uomini e tutto l’universo.


5 - Fede e preghiera

I momenti privilegiati, nei quali la fede si esprime con intensità particolare, sono i momenti della preghiera.
Per la maggior parte dei cristiani, la preghiera è un peso, una necessità a cui bisogna sottomettersi o, comunque, un qualcosa che non ha particolare relazione con il resto della vita.
La preghiera invece è il momento in cui si rinnova la propria coscienza di essere cristiano e si vive intensamente il proprio cristianesimo.
La preghiera è il mezzo per attaccarsi a Colui a cui si domanda e per distaccarsi da ciò che domandiamo.
Quando si è pregato bene non ci interessa più di ottenere quanto abbiamo domandato nella preghiera, ma l’unica cosa che desideriamo è che sia fatta la volontà di Dio: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi tu" (Mt 26,39).
Senza preghiera non c’è vita cristiana. Ma senza la vita vissuta, la preghiera è sterile. Dalla preghiera la vita riceve luce, forza, generosità, significato, slancio. Dalla vita la preghiera riceve la materia su cui agire. Bisogna che la vita entri nella preghiera, perché la preghiera illumini la vita.
La preghiera diventa dunque il momento indispensabile perché tutta la vita sia condotta sotto lo sguardo di Dio, sia donata a lui, perché sia una vita di fede, una vita cristiana.


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